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Maggio,19,2024

PROCESSO XENIA, LUCANO CONDANNATO A 13 ANNI E 2 MESI

L’ex sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato condannato a 13 anni e due mesi di reclusione nel processo “Xenia”, svoltosi a Locri, in Tribunale, sui presunti illeciti nella gestione dei migranti. La  sentenza condanna Lucano a quasi il doppio degli anni di
reclusione che erano stati chiesti dalla pubblica accusa (7 anni e 11 mesi). Lucano era stato
sottoposto ai domiciliari il 2 ottobre 2018 (e non il 2 settembre 2016) dai finanzieri del gruppo di Locri che avevano eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del
Tribunale della città calabrese con cui si disponeva anche il divieto di dimora per la sua compagna, Tesfahun Lemlem. Le indagini, coordinate e dirette dalla Procura della Repubblica di Locri, erano state avviate in merito alla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria al Comune di Riace, per
l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico. Già dall’ottobre del 2017 Lucano era iscritto nel registro degli indagati. Nel corso dell’inchiesta, secondo gli inquirenti, erano emerse irregolarità che il primo cittadino avrebbe commesso nell’organizzare “matrimoni di convenienza” tra cittadini del posto e donne straniere, al fine di favorire illecitamente la
permanenza di queste ultime nel territorio italiano. Lucano e la sua compagna avrebbero architettato degli espedienti volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per
ottenere l’ingresso in Italia. Dalle intercettazioni dei finanzieri, sarebbe emerso, in particolare, il ruolo di Lucano nell’organizzazione del matrimonio di una cittadina straniera
cui era già stato negato per tre volte il permesso di soggiorno. La Guardia di Finanza
avrebbe poi raccolto elementi circa l’affidamento diretto, definito “fraudolento”, del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti senza le procedure di gara previste dal codice dei
contratti pubblici. Due le cooperative sociali, la “Ecoriace” e L’Aquilone”, che secondo l’accusa, il sindaco avrebbe favorito. Le due coop non avrebbero avuto i requisiti di legge richiesti per l’ottenimento del servizio pubblico, in quanto non iscritte nell’apposito albo regionale previsto dalla normativa di settore. Al riguardo, viene contestato a Lucano di aver prima tentato inutilmente di far ottenere l’iscrizione alle cooperative, poi avrebbe istituito un albo comunale delle cooperative sociali cui poter affidare direttamente lo svolgimento di servizi pubblici. Per quanto riguarda la gestione dei flussi di denaro pubblico destinati alla gestione dell’accoglienza dei migranti, il Gip, pur rilevando una “tutt’altro che trasparente gestione, da parte del Comune di Riace e dei vari enti attuatori”, delle risorse erogate per l’esecuzione dei progetti Sprar e Cas, e parlando di “estrema superficialità”, e “diffuso malcostume”, aveva negato la contestazione di reati specifici. Con il pronunciamento del
Riesame, a Lucano erano stati revocati i domiciliari, ma era stato disposto il divieto di dimora a Riace. In conseguenza dell’arresto era stata disposta la sospensione dalla carica
decisa dalla prefettura di Reggio Calabria.

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