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Novembre,23,2024

Favino alla Festa di Roma, la mascolinità solidale del Colibrì

“Quello che mi è piaciuto del romanzo di Veronesi è il personaggio che interpreto con un tipo di mascolinità che non viene raccontata spesso al cinema. È un uomo circondato da donne, proprio come capita a me, e con una mascolinità che non ruota sull’ossessione delle sessualità. In questo film c’è poi una cosa non da poco: la borghesia non viene mai giudicata”. Così Pierfrancesco Favino racconta il suo personaggio nel COLIBRÌ di Francesca Archibugi, film ispirato al libro omonimo di Sandro Veronesi (Premio Strega 2020), che racconta, in maniera ondivaga, la storia di Marco Carrera (Favino). Una vita come tante, e straordinaria allo stesso tempo, segnata da dolorosi lutti e da un amore assoluto, anche perché volutamente non consumato, quello che prova per la bellissima Luisa Lattes (Berénice Bejo). La vita affettiva di Marco, che fa l’oculista, è infatti tutt’altra; una vita coniugale a Roma insieme all’inquieta Marina (Kasia Smutniak) e all’amata figlia Adele (Benedetta Porcaroli). Un’esistenza piuttosto ordinaria dedicata agli altri, alla sua famiglia, e in cui troverà un fedele alleato in Daniele Carradori (Nanni Moretti), lo psicoanalista di Marina, donna da cui si separerà non senza problemi. E tutto questo nel segno di quel soprannome che il protagonista si è conquistato per un duplice motivo: da ragazzo era molto piccolo di statura e poi, proprio come il colibrì, nella vita ha utilizzato sempre un grande dispendio di energie per stare alla fine del tutto fermo. Già al Festival di Toronto, la pellicola, in sala da domani con 01 in 460 copie, è il film d’apertura della Festa del cinema di Roma 2022. Prodotta da Domenico Procacci, ha nel cast anche Laura Morante e Massimo Ceccherini. Marco Mengoni interpreta ‘Caro amore lontanissimo’, brano inedito di Sergio Endrigo. Nel COLIBRÌ anche il tema dell’eutanasia che Favino commenta così: “Non credo che certe cose siano di una fazione piuttosto che di un’altra. Sono temi poi su cui io stesso non ho molta chiarezza. Questo un film politico? Lo è come qualsiasi cosa racconti una storia e la possibilità di raccontare le storie è in fondo il senso della democrazia”. Sullo stesso argomento replica con più forza l’Archibugi: “Spero solo che nel 2030 (ovvero il futuro che tocca il film) il problema sia risolto e non ci si trovi costretti a buttarsi dalla finestra o spararsi un colpo di pistola”. Nanni Moretti è felicissimo del suo ruolo di psicanalista e deus ex machina del film: “È bellissimo fare solo l’attore. È la sesta volta in trent’anni che Archibugi me lo chiedeva e questa volta ho ceduto”. Sul futuro della sala Moretti ha le idee chiare: “Continuo a credere nella sala e non a caso ne ho una tra mille difficoltà. Da spettatore, da regista e produttore per me la sala è il luogo del cinema. In Italia però i film fanno fatica, basti pensare che in Francia è di ben 15 mesi la ‘finestra’ tra uscita in sala e utilizzo sulle piattaforme, mentre da noi è pari a zero”. Berenice Bejo è invece molto lontana dal suo personaggio di amante platonica: “Per me una storia d’amore passa inevitabilmente attraverso il sesso. Io amo l’amore. Francesca – aggiunge – è un personaggio, è folle. Difficile entrare nella sua testa”. Infine Favino torna sul tema uomo-donna: “Dentro di me non c’è mai stata questa distinzione. Credo sia ormai solo un problema nostro, mi sembra una cosa da anni Venti. Oggi mi capita di parlare di problemi sentimentali più coi miei amici maschi che con le donne. È ormai solo un problema di narrazione”. (ANSA)

 

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