L’ischemia cerebrale nell’ottobre del 2017 è il primo sintomo di qualcosa che non va, quattro mesi dopo le sue condizioni peggiorano improvvisamente. La camera ardente con oltre diecimila persone tra amici, colleghi e semplici fan; le esequie trasmesse in diretta su Rai1. Fabrizio Frizzi è morto un anno fa. Sorridente, accomodante, mai sopra le righe, garbato — aggettivo che nella società sguaiata di oggi viene visto con sospetto e dileggio perché confuso con la mancanza di carattere. L’unica casella vuota di Fabrizio Frizzi, in una carriera che ha toccato quiz, varietà e intrattenimento — tutte le gradazioni del leggero —, è stato il Festival di Sanremo. Ma c’è anche un’altra casella vuota: perché è impossibile trovare qualcuno che abbia parlato male di lui e il motivo non va ricercato in quel fondo di ipocrisia cattolica che al momento della morte lava tutti i peccati. La ragione va piuttosto trovata nel fatto che Frizzi ero uno specchio fedele della sua anima: non usava — come fanno tanti, troppi personaggi del mondo dello spettacolo e non solo — la vetrina di Instragram per mettere in mostra un gemello migliore, l’avatar perfetto, un doppio più luccicante dell’originale, quello che avrebbe voluto far credere di essere piuttosto che quello che era. Chi va in televisione ha per sua natura una certa dose di vanità, ma Frizzi non faceva sua l’enunciazione dell’ undicesimo comandamento dello Show Business: non avrai altro Io all’infuori di Me. Era quello che nelle foto non smaniava per stare in prima fila, quello a cui non interessava ascoltare solo se stesso ma anche gli altri, quello che non diceva subito “sì, ma io”. La tv dei ragazzi è stata la sua grande palestra, Corrado l’ispiratore del suo stile di conduzione, Miss Italia il programma con più presenze (18 edizioni), anche se è diventato un volto quotidiano dell’elettrodomestico più acceso grazie a I fatti vostri, Soliti Ignoti e L’eredità. Una professione fatta di alti (tanti) e bassi (qualcuno), ma anche le cadute sono servite a renderlo più resistente, più consapevole, più disinvolto. Il 2000 fu un anno di rottura. Colpa dell’allora direttore generale Pier Luigi Celli che disse di vergognarsi di alcuni programmi, tra i quali Per tutta la vita(condotto da Frizzi), una gara tra due coppie di promessi sposi che si sfidavano in giochi più o meno divertenti, premio una vacanza di due settimane ai Caraibi e un pranzo di nozze per 200 persone. Che a sentirlo adesso, e per quello che abbiamo visto negli ultimi 20 anni, c’è da sorridere all’ingenuità di una tv che allora pareva ardita. La strada diventa in salita, sono tempi bui, anni in sordina. Perché «quando sei in disgrazia le giornate sembrano interminabili. A un certo punto nemmeno il mio carattere, prevalentemente ottimista, mi sosteneva più. Io ho molte più debolezze, molti più difetti di quanto sembri. Il fatto è che quando scegli di fare l’artista, scegli un lavoro precario. Vivi in perenne compagnia di un’ansia di conferma. È una regola del gioco anche questa: né buona né cattiva. Una regola e basta». La ruota tornò a girare: Soliti Ignoti fu il quiz della riscossa, L’eredità quello della conferma. Del resto a un tramonto segue sempre un’alba. È una regola anche questa. E dura pure da più tempo.