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Novembre,15,2024

SBARCO SULLA LUNA, CINQUANTANNI FA IL PASSO PIÙ LUNGO DELL'UOMO

Ad imprimere la prima orma umana sulla Luna è stato l’astronauta della Nasa Neil Armostrong, seguito da Edwin “Buzz” Aldrin. Il terzo membro dell’equipaggio, Michael Collins, ha invece mantenuto il controllo della missione a bordo del modulo Columbia. Per due ore e 31 minuti, Neil è rimasto sul suolo lunare, affondandovi più che poteva l’impronta di un intero pianeta. Quel giorno di cinquant’anni fa 900 milioni di persone in tutto il mondo rimasero incollate davanti alla tv. Solo in Italia erano in 30 milioni a non volersi perdere le immagini dell’approdo di quei marinai spaziali commentate dal mitico Tito Stagno, nella scatenata corsa allo spazio fra Stati Uniti e Unione Sovietica, nel più ampio scenario della Guerra Fredda. Lo sbarco sulla Luna del 1969 fu il primo vero evento mediatico globale e appassionò milioni di persone. Soltanto in Italia lo “Speciale Luna” durò oltre 28 ore. La lunga diretta fu possibile grazie alla prima grande antenna parabolica, installata al Centro Spaziale del Fucino, vicino a L’Aquila, solo pochi anni prima. “L’aquila è atterrata”: quando queste parole, pronunciate dal comandante Armstrong, arrivarono nitide al centro di controllo della Nasa a Houston, il mondo non fu più lo stesso. L’aquila, “Eagle”, era il nome del modulo lunare utilizzato nella missione. Quelle immagini in bianco e nero annunciavano un futuro luminoso e quasi fantascientifico, nel quale i collegamenti fra la Terra e la Luna sarebbero stati la regola. Una speranza che però si scontrò con il cielo: la (rin)corsa alla Luna durò pochissimi anni, poco più di tre, e vide altre sei missioni in tutto. L’11 dicembre 1972 il comandante della missione Apollo 17, Eugene Cernan, fu l’ultimo uomo a lasciare la sua impronta sul satellite dei poeti. Lo sbarco sulla Luna era stato il risultato di una corsa allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica, virtualmente scatenata il 4 ottobre 1957 dal “bip” del primo satellite artificiale, il sovietico Sputnik. Da allora le due superpotenze avevano con smania inseguito un record dopo l’altro senza risparmio di colpi. Inizialmente non sembrava esserci partita: il 3 novembre 1957 lo Sputnik 2 aveva portato nello spazio il primo essere vivente, la cagnetta Laika, e il 12 aprile 1961 era arrivato in orbita il primo uomo, Yuri Gagarin. Poco più di un mese dopo quell’evento storico, John F. Kennedy annunciava al Congresso l’inizio del Programma Apollo. Alla fine del decennio gli Stati Uniti “faranno atterrare un uomo sulla Luna e lo faranno tornare, sano e salvo, sulla Terra”. Una sfida folle, un’impresa riuscita. Qualche giorno prima dello Sbarco, il 13 luglio, l’attesa era spasmodica. Sarebbe stata l’ultima domenica di un mondo senza uomini allunati. Un evento tanto epocale non poteva non smuovere anche chi al cielo, per vocazione, guarda con gli occhi della fede: il Papa. “La fantascienza diventa realtà”: così Paolo VI commentava quel “fatto singolarissimo e meraviglioso” che invitava il mondo intero “a meditare sul cosmo, che ci apre davanti il suo volto muto, misterioso, nello sconfinato quadro dei secoli innumerevoli e degli spazi smisurati”. Il Pontefice avrebbe parlato nuovamente della missione spaziale nell’Angelus della domenica successiva, il 20 luglio 1969, il giorno prima dell’allunaggio. I toni erano mano entusiastici, complice anche la consapevolezza dell’orrore delle guerra in atto in Vietnam, Africa e Medio Oriente: “Possa il progresso, di cui oggi festeggiamo una sublime vittoria, rivolgersi al vero bene, temporale e morale dell’umanità”. E quella domenica arrivò. E fu sera e fu mattina, direbbe Paolo VI; con in mezzo una notte interminabile. L’Eagle si posò sulla superficie lunare, alle 20:17:40 di domenica 20 luglio, con non più di 25 secondi di autonomia restanti. In seguito si scoprì che era il risultato di una “perdita” più grande del previsto, che copriva un sensore. Non proprio robetta, se ti trovi nello spazio e non su un’autostrada. Secondo il programma, Armstrong e Aldrin avrebbero dovuto riposare per alcune ore all’interno del modulo lunare, eventualmente con l’aiuto di tranquillanti, per poi prepararsi per l’uscita, programmata per le 6:17 (8:17 italiane). Invece gli astronauti non dormirono. E come avrebbero potuto? Come ogni grande impresa, anche quella grandissima dello Sbarco possiede un proprio pantheon di epiteti e nomi propri che fanno parte del mito. Se Cristoforo Colombo è per forza di cosa associato alla Nina, alla Pinta e alla Santa Maria, Armstrong e compagni hanno navigato a bordo di natanti altrettanto evocativi. L’equipaggio delle missioni Apollo aveva la possibilità di rinominare le navicelle in uso. Gli astronauti dell’Apollo 10 avevano optato per Charlie Brown e Snoopy per identificare i moduli. Made in Usa, ok, ma forse non proprio adattissimi a una missione potenzialmente mortale. Le autorità suggerirono allora all’equipaggio dell’Apollo 11 di scegliere nomi più “seri”. Il modulo di comando fu così chiamato Columbia, da Columbiad, il gigantesco cannone che, nel romanzo di Jules Verne Dalla Terra alla Luna (1865), sparava la navicella verso la Luna. Il modulo lunare fu battezzato Eagle, come già detto, in onore dell’uccello simbolo degli Stati Uniti, rappresentato anche sull’emblema della missione. I preparativi per la passeggiata lunare iniziarono alle 23:43, richiedendo più tempo del previsto. Tre ore e mezza invece di due. Il portello venne aperto alle 02:39:33. Dodici minuti dopo Armstrong iniziò la sua discesa sul Mare della Tranquillità attraverso la scaletta, non senza difficoltà: l’Unità di Controllo Remota sul casco gli impediva di vedersi i piedi. Le prime immagini in bianco e nero di un uomo sulla Luna vennero viste in diretta da almeno 600 milioni di persone sparse in tutto il mondo. Sei ore e mezza dopo aver toccato il suolo, alle 2:56:15 (le 4:56 italiane), dopo una breve descrizione della superficie (“Very fine grained… almost like a powder”, cioè “a grana molto fine… quasi come polvere”) e aver pronunciato la sua storica frase, Armstrong fece il suo primo passo fuori dall’Eagle e diventò il primo uomo a camminare su un altro corpo celeste. Circa sette minuti dopo aver passeggiato sulla superficie della Luna, Armstrong raccolse un campione di terreno. Appena lo ebbe fatto, ripiegò il contenitore ove lo aveva posto e lo infilò in una tasca della tuta sulla coscia destra. Come un pacchetto di sigarette. Armstrong osservò che muoversi nella gravità lunare, un sesto di quella terrestre, era “forse più facile rispetto alle simulazioni… Non è assolutamente un problema andare in giro”. Aldrin tenne invece fede alla sua fama di eccentrico e testò metodi “alternativi” per muoversi, compreso il cosiddetto “salto del canguro”. Gli astronauti piantarono insieme la bandiera degli Stati Uniti, ma la consistenza del terreno consentì un affondo di pochi centimetri. L’enfasi fece il resto. Intanto Collins era rimasto solo a bordo del suo modulo, sperimentando quella che, per sua stessa definizione, fu “una solitudine umana mai conosciuta dai tempi di Adamo”. Aldrin rientrò nell’Eagle per primo. Con non poche difficoltà, gli astronauti caricarono i film e due sacchi contenenti più di 22 chili di materiale lunare. Il portello venne chiuso alle 05:01, dopodiché i novelli eroi americani pressurizzarono il modulo e si prepararono a dormire. Finalmente. Dopo circa nove ore e mezzo, alle 17:54, Armstrong e Aldrin decollarono per raggiungere Collins a bordo del Columbia in orbita lunare. Le 16:50:35 del 24 luglio 1969, Oceano Pacifico. I paracadute parafreno del Columbia si aprono. Sette minuti dopo la navicella impatta l’acqua a testa in giù. “Tutto va bene, la nostra lista di controllo è completa, aspettiamo i sommozzatori”: è stata questa l’ultima trasmissione ufficiale di Armstrong dal Columbia. L’ultima comunicazione gracchiante dell’impresa più grande che l’uomo in persona abbia mai compiuto.

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