Vasta operazione antimafia in corso dalle prime ore di questa mattina in provincia di Milano, nel mirino delle forze dell’ordine è la ‘ndrangheta e in particolare quella che è definita come la “Locale di Rho” , un’organizzazione criminosa individuata nella zona nord della provincia lombardo.
La Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, ha arrestato 49 persone con le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, minacce, violenza privata, incendio, detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa.
Tra i reati contestati anche l’intestazione fittizia di beni, una delle strategie più comuni di una ‘ndrangheta che, non solo a Milano, va organizzandosi in maniera sempre più stratificata.
La “locale di Rho”, struttura territoriale di stampo ‘ndranghetista del nord milanese, era già sotto la lente d’ingrandimento dei militari sin da un’indagine del 2010, denominata “Infinito” della Dda del territorio. Gli indagati sono tutti ritenuti, a vario titolo, affiliati al clan Bandiera, attivo nella provincia di Milano, più precisamente a Rho.
Dell’operazione ha parlato il prefetto Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della Polizia di Stato. «Quanto eseguito oggi testimonia che l’agire mafioso della ‘ndrangheta in Nord Italia ha assunto da tempo caratteristiche assolutamente sovrapponibili a quelle che ne caratterizzano l’azione nei territori in cui il fenomeno è endemico. La narrazione di una ‘ndrangheta evolutasi al punto da abbandonare l’aspetto militare in favore di strategie criminali più sofisticate non è del tutto precisa. A Milano la Polizia di Stato e la magistratura continuano ad affrontare la minaccia mafiosa ben consapevoli che il contrasto dell’ala militare della ndrangheta deve continuare ancora a lungo e deve essere affiancato da una sistematica aggressione all’accumulo dei patrimoni illeciti, che ne costituiscono la linfa vitale. Peraltro, gli esiti investigativi odierni attestano ancora una volta come sovente la detenzione carceraria non riesca a recidere il legame tra affiliato e struttura mafiosa di appartenenza».