Giorgio Panariello con il suo spettacolo “La Favola mia” ha incantato l’Arena del Mare per il primo dei sei appuntamenti de Le Castella Music Fest. Ha raccontato la sua vita con garbo e tanta ironia, ma anche con un pizzico di malinconia che ogni tanto è saltata fuori dal cilindro di un comico che conosce bene il mestiere. Uno spettacolo che ricorda la canzone omonima di Renato Zero, grande amico dell’artista fiorentino, che anche questa volta si materializza ed è ancora una volta identico a lui. Ad aprire la splendida serata, davanti ad una platea calorosa e partecipativa è un vecchietto seduto sul fondo di un borgo, raccolto nei suoi pensieri. Giocoso e maturo, il comico si racconta pian piano senza indugi né autocompiacimenti, è l’onesta storia di un ex ragazzino venuto su vivendo coi nonni in una Versilia, non quella modaiola di oggi, sul finire dei Sessanta e in pieno boom economico. Panariello si riconosce in quell’epoca tra pregi e difetti. La “Favola mia” di Panariello, dopo i teatri, arriva all’aperto per raccogliere applausi e dare emozioni. È la luna a squarciare la notte della scenografia dello spettacolo, fino ad aprire le porte al suo racconto, ai suoi personaggi, anche se prima di loro il comico ironizza sui “nuovi” mestieri, tipo lo youtuber, l’influencer, il tiktoker, nonostante in molti casi l’inglese non appartenga proprio a tutti. Nel mega schermo scorrono le foto della sua infanzia, mentre racconta la storia dei suoi nonni. Ma il comico fiorentino non tralascia i personaggi dei suoi inizi artistici: Merigo, ispirato a un campanaro del paese, in un crescendo di vizi e virtù italiane; quindi si torna al presente con un nuovo accenno a ciò che da un lato ci rende attoniti e dall’altro ci rincuora, come le consegne sugli ordini fatti online, per qualsiasi cosa. L’artista padrone assoluto della scena si muove con sicurezza su un canovaccio peraltro di vita vissuta, e personale, e si ritaglia anche un angoletto di satira politica, sbeffeggiando più di qualcuno. Poi è tempo di Mario il bagnino raccontato con un certo mestiere, una grazia tipica, come quando ricorda il falò sulla spiaggia (che non si può più fare), le coppiette, e mentre ironizza sulle nuove canzoni. Tutto questo prima di dare voce alla trasformazione in Renato Zero sulle note de “I migliori anni della nostra vita”. Un racconto spensierato che parti dagli anni in Toscana e della sua gavetta con i personaggi come il Pierre della discoteca Chiticaca, che “vengono” a lui, senza cercarli. Il finale è da brividi con il racconto, velato dal rimorso, per la morte del fratello Franco, salendo le scale simboliche del successo, con le emozioni che hanno conquistato la platea dell’Arena del Mare, che gli tributa una lunga standing ovation.