Il Brasile resta in bilico. Il risultato elettorale non ha restituito una vittoria netta. La festa è rimandata al ballottaggio del 30 ottobre. Luiz Inacio Lula da Silva, 76 anni, icona della sinistra sudamericana, grande favorito ai sondaggi, non ha confermato i pronostici di vittoria della vigilia, che gli attribuivano fino al 51% di consensi già al primo turno. Quasi al termine degli scrutini il leader del Partito dei lavoratori (Pt) aveva totalizzato il 48,35% di voti, mentre il suo avversario, il presidente di destra uscente, Jair Bolsonaro (Pl), 67 anni, il 43,27%, battendo tutte le aspettative, e tallonando in un conteggio sul filo di lana. “La lotta continua fino alla vittoria finale”. Il ballottaggio non è che una “proroga”, ha commentato Lula al termine dello scrutinio, spronando i delusi. Tornato a San Paolo da San Bernardo do Campo, sua roccaforte elettorale dove in mattinata aveva votato, il leader di sinistra ha atteso il responso al Novotel Jaraguà, con la moglie Janja, il vice designato per il suo futuro governo, Geraldo Alckmin, e l’ex presidente Dilma Roussef. Al termine della serata ha raggiunto l’avenida Paulista, prenotata per il bagno di folla della svolta, e ridotta invece a teatro per un abbraccio con qualche decina di migliaia di sostenitori. “Abbiamo vinto sulle menzogne” dell’istituto di sondaggi “Datafolha”. Ora “lavorerò per cambiare il voto della gente” ha promesso Bolsonaro, in giornata bersaglio di un attacco hacker alla pagina web. Anche lui è rientrato dalla trasferta per il voto, da Rio de Janeiro al Palacio da Alvorada, la sua residenza ufficiale a Brasilia, dove la recinzione attorno all’edificio è stata addirittura ampliata, per ospitare i suoi numerosi sostenitori. Da ora alla fine di ottobre la partita è indubbiamente tutta aperta, e per il colosso verde-oro si annunciano giorni difficili, con una nuova appendice di campagna elettorale ad alta tensione. Il rischio è che Bolsonaro getti benzina sul fuoco, incendiando le piazze ed accelerando nei suoi attacchi senza tregua per screditare il Tribunale superiore elettorale (Tse) ed il suo presidente, il giudice Alexandre de Moraes, cuore delle procedure democratiche. Una deriva pericolosa, con i Paesi occidentali – Europa e Stati Uniti in testa – che nelle ultime settimane avevano inviato appelli richiamando al rispetto dello stato di diritto. E in questo periodo di transizione il presidente uscente potrebbe varare misure provvisorie ad effetto immediato (con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale), per dare nuovo impulso alla liberalizzazione della vendita delle armi, accrescendo così il rischio di violenza politica. Una polarizzazione estrema che nei 46 giorni di campagna elettorale al veleno, dal 16 agosto all’apertura dei seggi elettronici del 2 ottobre, ha già fatto contare tre morti, e vari episodi di intimidazione. Secondo gli analisti, a pesare sul risultato sono stati gli indecisi, il tasso di astensione, e quanti hanno creduto di abbracciare la scelta del cosiddetto ‘voto utile’ (quello cioè di chi avrebbe voluto vedere l’elezione chiusa al primo turno). Malgrado infatti il voto per i 156milioni di brasiliani chiamati alle urne sia obbligatorio, il tasso di astensione è salito dal 20,3% del 2018 all’attuale 20,94. E proprio Lula sarebbe stato il più danneggiato da questo incremento di assenze. Il primo turno è stato seguito anche dagli osservatori internazionali dell’Organizzazione degli Stati americani, su invito del Tse. Il gruppo – composto da 55 esperti provenienti da 17 Paesi – è stato dispiegato in 15 dei 26 Stati federativi e nel Distretto di Brasilia., certificando che tutto si è svolto in modo corretto, come ha dichiarato il capo della missione, Ma a sorvegliare sulle urne sono stati anche i militari dell’esercito, in un’iniziativa spinta da Bolsonaro, che come il suo avversario Lula ora medita le sue prossime mosse per la vittoria.
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