Il Presidente Emerito della Repubblica, senatore Giorgio Napolitano, si è spento presso la clinica Salvator Mundi al Gianicolo in Roma. La camera ardente verrà allestita a Palazzo Madama. A darne l’annuncio è stato il presidente del Senato Ignazio La Russa.
Bandiere a mezz’asta a palazzo Madama. Il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano ha disposto che per Napolitano si celebrino le esequie di Stato. Il giorno delle celebrazioni delle esequie di Stato sarà dichiarato lutto nazionale.
Ci lascia l’uomo delle riforme a tutti i costi, napoletano di gran classe, elegante e “pignolo”, come egli stesso si è definito. Attento ad ogni dettaglio, lavoratore instancabile, profondo conoscitore della vita parlamentare e delle dinamiche politiche dell’intera storia repubblicana. Sempre accompagnato con discrezione dalla moglie Clio, Giorgio Napolitano ha iniziato il suo primo settennato al Quirinale, nel 2006, gioendo per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio di Berlino e ha concluso i quasi due anni del secondo mandato con qualche rimpianto per non essere riuscito a vedere del tutto compiuti quei cambiamenti istituzionali per i quali tanto si è speso.
Quella di Napolitano non è stata una presidenza leggera, né facile. Ma ha mantenuto sempre l’impegno preso il 15 maggio del 2006 quando da neo-presidente promise solennemente davanti alle Camere che non sarebbe mai stato il capo dello Stato della maggioranza che lo aveva eletto, ma che avrebbe sempre guardato all’interesse generale del Paese. E così è stato, visto che dopo essere salito sul Colle più alto della politica italiana con i soli voti del centrosinistra, ha chiuso il primo settennato con l’aperto sostegno del centrodestra.
Le sue capacità di mediazione gli sono state unanimemente riconosciute negli anni. Persino la Lega ha dovuto inizialmente riconoscergli l’impegno sul fronte del federalismo, nonostante più volte il capo dello Stato abbia redarguito il Carroccio sul tema dell’Unita nazionale.
Europeista convinto, Napolitano ha sempre sostenuto l’indispensabilità dell’Unione europea convincendosi via via che, così come in Italia, solo decise riforme dell’euroburocrazia potevano frenare il distacco dei cittadini e raffreddare il populismo crescente.
Nel novembre 2011 il New York Times lo definì “re Giorgio”, quando nominò Mario Monti a Presidente del Consiglio
I detrattori parlarono di Repubblica presidenziale, i sostenitori la giudicarono una mossa determinante per evitare che il Paese, spinto sull’orlo del baratro dalla crisi del debito sovrano, precipitasse. Evitato il default, l’Italia non riuscì a schivare la recessione. L’immagine del governo ‘tecnico’ del presidente ne risentì e svanì il sostegno politico all’inquilino del Colle. Le fibrillazioni del Pdl portano alle dimissioni di Monti e a quella ‘salita in politica’ del professore che Napolitano, inutilmente, sconsigliò. I risultati elettorali spaccarono il paese ed i veti incrociati dei partiti spinsero Napolitano a nominare Enrico Letta sulla base di una larga intesa. Dopo l’ascesa irrefrenabile di Renzi con il quale, nonostante la differenza di età, ha saputo costruire un rapporto sincero e pragmatico, Napolitano rassegnò le dimissioni il 14 gennaio 2015. È divenuto poi Senatore di diritto e a vita quale Presidente Emerito della Repubblica.(ANSA)