IL LEONE SOCIALISTA A VENT’ANNI DALLA MORTE

Intervista a Giacomo Mancini junior

Vent’anni fa moriva Giacomo Mancini. Autonomista, nenniano, uomo di governo nel centrosinistra, fu Ministro della sanità nel primo governo Moro e Ministro dei Lavori pubblici nel secondo e terzo governo Moro e nel primo governo Rumor, diventando poi Ministro degli Interventi straordinari nel Mezzogiorno nel quinto governo Rumor. Da ministro della Sanità impose tra l’altro l’introduzione del vaccino antipolio Sabin. Da ministro dei Lavori pubblici realizzò l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Il 23 aprile del 1970 divenne segretario del partito. Dopo esserlo stato pochi mesi nel 1985, nel 1993 venne rieletto sindaco di Cosenza, alla testa di alcune liste civiche non collegate ai partiti tradizionali. Fu proprio in quell’anno, però, che prese l’avvio la sua vicenda giudiziaria, quando alcuni pentiti lo accusarono di presunti rapporti con cosche mafiose del reggino e di Cosenza. Il Tribunale di Palmi, il 25 marzo 1996, lo condannò per concorso esterno in associazione mafiosa. Un anno dopo, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, il 24 giugno 1997, annullò la sentenza per incompetenza territoriale, rimandando tutti gli atti a Catanzaro. Una prima conclusione della vicenda giudiziaria arrivò il 19 novembre 1999, quando Mancini venne assolto dal concorso esterno “perché il fatto non sussiste”. Il processo d’appello, fissato a fine giugno del 2000, venne rinviato a nuovo ruolo e non ha mai avuto inizio. “Sono trascorsi venti anni – riflette a voce alta il nipote Giacomo, erede politico del leone socialista – eppure ho un ricordo nitido dell’ultima volta che parlammo insieme”.

  • E cioè, quando?

“C’era il sole che entrava da dietro le tende e illuminava i libri. La foto del padre con Pietro Nenni in bella evidenza. A un certo punto mi rivolgo a lui e gli dico: ti sono grato per tutto quello che hai fatto per me e per come mi sei sempre stato vicino. Fu l’ultima volta”.

  • Viene difficile immaginare un esponente politico della sua caratura come un nonno ordinario.

“Da bambino il giorno del mio compleanno mi inviava sempre un telegramma per farmi gli auguri. A quei tempi i telefonini non esistevano, io trascorrevo l’estate a Sangineto. C’erano le cabine a gettoni. Il giorno degli orali della maturità lo trovai fuori da scuola. Mi disse che non era voluto entrare per non mettere in imbarazzo i professori. Meno male, perché non fu una prova indimenticabile”.

  • L’accusa di concorso esterno lo ha segnato per il resto dei suoi giorni…

“Beh, a Palmi in tribunale fu costretto ad ascoltare le requisitorie di quella che è stata una vera persecuzione giudiziaria. Assoluzione piena, ma purtroppo anche l’inizio delle sue sofferenze e della malattia”.

  • L’ultima volta di Giacomo e Giacomo fu nella biblioteca di famiglia dove la mattina si leggevano i giornali.

“Oggi sono venti anni da quel giorno. Eppure nonostante sia trascorso tanto tempo – dice Giacomo junior – il suo ricordo è sempre molto presente nella memoria di tanti. Chi lo ha conosciuto ricorda le battaglie del leader socialista e le realizzazioni dell’uomo di governo. Ma io sono suo nipote. E mi manca anche il suo telegramma di auguri”.